COME SCRIVERE UN’AUTOBIOGRAFIA
Prendete un autore alle prime armi. Anzi, primissime. Per esempio, uno studente delle scuole superiori. Potrà avere delle nozioni scrittorie di base, magari acquisite grazie alla lettura, ma è difficile che conosca le principali tecniche narrative: come strutturare una trama, caratterizzare i personaggi, rappresentare l’ambientazione, ecc. E magari non conosce altra realtà se non il proprio piccolo mondo. Però, dentro di lui, si muove l’urgenza di scrivere un romanzo. Eh sì, perché l’idea di base è sempre questa. Un romanzo. Ma quando non ci sono gli strumenti per gestire un’opera del genere, il punto di riferimento diventa inevitabilmente la propria autobiografia. Pensateci un attimo, però: cosa può avere di interessante, per un lettore, la storia di una persona comune? Certe esperienze che ci hanno formato, che ci hanno fatto sentire “grandi”, sono importanti per noi, per la nostra crescita, ma possono risultare banali per chi legge. Inevitabile, quindi, che ci si trovi a dilungarsi su episodi all’apparenza insignificanti. Oppure che si crei un ibrido tra realtà e finzione in cui l’urgenza di raccontare se stessi ha la meglio sulla volontà di offrire al lettore un’opera narrativa in grado di conquistarlo. Nella maggior parte dei casi, dopo aver macinato pagine su pagine senza un progetto, senza uno scopo, sarà l’autore stesso a perdere di vista il confine tra realtà e finzione, e a non sapere più in che modo indirizzare una trama che manca del tutto di un progetto. Così, il libro viene abbandonato senza pietà. E non è nemmeno escluso che l’autore decida di appendere le scarpe al chiodo: a volte, un fallimento fa passare del tutto la voglia di imparare.
Ipotizziamo invece che l’autore sia una persona ricca di esperienze e decida di raccontarle in una vera e propria autobiografia. Sarà un professionista? Nella maggior parte dei casi no. Per lo meno, non lo sono coloro che si rivolgono a me. Mi è capitato, per esempio, di editare l’opera di un importante imprenditore, o di una persona che ha lavorato per vent’anni nelle ONG (significato wiki) e viaggiato per tutto il mondo. Certo, in questo caso un ghostwriter potrebbe dare il giusto colore alla narrazione perché è in possesso degli strumenti per rendere accattivante il vissuto individuale, trasponendolo in una forma adeguata al contesto editoriale. Ma molti di questi individui – e lo dico con immenso piacere – vogliono scendere in campo in prima persona, lavorare alla propria opera mettendoci la faccia e la tastiera. Quindi, dovranno adottare trucchetti e stratagemmi per romanzare il proprio racconto, selezionare gli eventi davvero importanti ed evitare di scivolare nel reportage giornalistico. Poi, un bravo editor farà tutto il resto.
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Ecco quindi qualche consiglio per scrivere un’autobiografia…
Chiarire perché volete scrivere un’autobiografia
La scrittura è catartica, e io lo so meglio di tutti, visto che per anni, sul mio blog Appunti a Margine, ho parlato della scrittura di getto e del suo valore terapeutico. Scrivere di sé, senza progettare e senza pensare, può aiutare a “purificare la propria anima” e a sciogliere nodi irrisolti. Tuttavia, non è necessario ambire alla pubblicazione, o sforzarsi per dare al proprio narrato una connotazione letteraria. Potrebbe essere sufficiente un diario, sapete? Quindi, “voglio scrivere un’autobiografia perché mi fa bene”, non è una risposta sufficiente per intraprendere un progetto di ampio raggio. Altrimenti, rischiate di ritrovarvi nella situazione descritta all’inizio: quella di una persona che ruota intorno a tutti i propri non detti senza riuscire né ad aiutare se stessa né a donare qualcosa di utile al lettore. A questo punto, è più utile scrivere soltanto per sé, fino a quando tutta la spazzatura interiore non sarà del tutto sviscerata. Non sottovalutate questo esercizio: si tratta di un’ottima palestra per le proprie abilità narrative. Scrivere i propri pensieri e poi rileggerli è un ottimo metodo, seppur solo uno dei tanti, per sviluppare e coltivare la propria professionalità. Certo, se lo si fa con una guid, meglio ancora.
Definire a chi è rivolta la propria autobiografia
Questa domanda è la diretta conseguenza di quanto scritto sopra: quali lettori possono trarre giovamento dalla lettura della vostra storia? Su quale “mondo” volete far luce? Prendiamo per esempio Malala Yousafzai, nota per il suo impegno per l’affermazione dei diritti civili. Nel suo libro Io sono Malala, racconta della propria lotta per il diritto allo studio e dell’attentato subito su un autobus da un uomo che voleva opporsi a tale rivendicazione di libertà. Il pubblico del suo libro è l’intera società civile, anche per questo è stata la più giovane vincitrice del Premio Nobel per la pace. Forse voi non ambite a tanta visibilità, anche se ve lo auguro con tutto il cuore. Però, partire da un target iniziale è importante sia per definire i toni che adotterete, sia per trovare alla vostra opera un’adeguata collocazione editoriale.
Evitate soluzioni ibride
Ne ho già parlato sopra: volete metterci la faccia? Allora fatelo fino in fondo. E, se la vostra vita non ha abbastanza eventi rilevanti per diventare oggetto di un’autobiografia, piuttosto rinunciate a parlarne, ma vi prego, evitate di arricchire la narrazione con dettagli di pura invenzione. Anche perché, talvolta, vi ritroverete a scivolare in un completo irrealismo senza nemmeno rendervene conto. Mi è capitato di recente di editare un’opera in cui realtà e finzione erano mescolate in modo a dir poco grossolano, e posso assicurarvi che è stata l’unica collaborazione fallimentare di tutta la mia carriera: sebbene il libro mancasse totalmente di struttura e fondamento, l’autrice faceva orecchie da mercante. Lo voleva così, punto. Quindi, all’inizio parlava del suo cane, per poi deviare verso una trama completamente inventata, così intricata da far invidia persino a Beautiful. E vi assicuro: a nulla sono valsi i miei tentativi di farle scegliere l’una o l’altra soluzione, perché aveva fretta di godere della visibilità che una pubblicazione può dare, e si è tuffata su Amazon senza il paracadute. Inutile dire che il libro è stato ritirato dopo poco tempo. Se deciderà di riscriverlo con maggior consapevolezza, di sicuro non sarà con me.
Decidete il nucleo della vostra storia
Una vita è una vita: è ricca di eventi, di intrecci, di apparenti casualità, di punti di svolta, di lacrime. Difficile raccontarla tutta. E, oserei dire, anche inutile. Noioso per il lettore. Pertanto, io suggerisco sempre di individuare un argomento chiave, intorno al quale far ruotare tutto il resto: un viaggio che vi ha cambiato la vita, una scoperta scientifica strabiliante, l’impegno contro la violenza, la vittoria del Premio Pulitzer. Ogni dettaglio autobiografico contenuto nel libro, dovrà quindi essere legato alla struttura fondante, quella che lo regge in piedi, evitando il più possibile di cadere nell’infodump (articolo dedicato clicca qui).
Se io, per esempio, dovessi raccontare di come la vicinanza alle filosofie orientali e l’interesse per le discipline esoteriche abbiano cambiato la mia vita, potrei parlare di mia zia e dei suoi studi astrologici che da bambina mi affascinavano tanto, oppure di quando, l’11 settembre 2001, ho trovato un libro sulla reincarnazione “per caso” alla Feltrinelli di piazza del Duomo a Milano. I miei studi dalle suore possono essere utili? Sì, nel momento in cui i loro insegnamenti si sono mostrati limitanti. E il bullismo subito alle elementari, forse, anche: c’è un motivo per cui mi consideravano “strana” e mi maltrattavano, ovverlo il fatto che ero sempre un metro oltre alla massa, avevo interessi diversi dai coetanei. Ma la separazione dei miei genitori, per quanto fondamentale per la mia esistenza, potrebbe non avere alcuna rilevanza. In tal caso, basterebbe un cenno, senza bisogno di dilungarsi troppo.
Abbiate cura della trasposizione letteraria
L’autobiografia è a tutti gli effetti un’opera di narrativa, e come tale dovrebbe essere trattata. Pertanto, sarebbe cosa buona e giusta curarvi di:
- a) caratterizzare i personaggi coinvolti;
- b) caratterizzare l’ambientazione;
- c) fare in modo che ci sia una trama.
Attenzione, però: lungi da me suggerire la soluzione “ibrida” di cui sopra. Romanzare un’autobiografia significa semplicemente renderla accattivante per il lettore. Quindi, far sì che ogni dettaglio abbia un senso all’interno della narrazione. Se avete preso il treno per andare a Roma, non dovete chiedervi cosa rappresenti quel treno per voi, ma cosa possa rappresentare per il lettore. E voi stessi non sarete più voi, bensì un personaggio letterario vero e proprio, anche se il prezzo da pagare sarà sacrificare alcune parti di sé per metterne in luce altre, selezionare cos’è importante e cosa no.
La cosa vi può sembrare strana? Vi spaventa?
In tale frangente adottare un punto di vista in terza persona potrebbe aiutarvi, ma senza falsare troppo la vostra identità, altrimenti ricadiamo nell’ibrido di cui sopra.
Articolo che ritengo molto interessante e che consiglio spesso di leggere è Cosa comunica il nostro modo di scrivere
Siate onesti
Il fatto di diventare personaggi letterari non deve portarvi a mostrarvi diversi o migliori da ciò che siete in realtà. Gli eroi senza macchia e senza paura non piacciono a nessuno, né nel mondo reale, né in un mondo narrativo. Quindi, se nella vostra vita c’è qualcosa che vi spaventa, o di cui vi vergognate, avete due strade: sbatterlo sulla pagina con sprezzo del pericolo per esorcizzare il suo potere, oppure parlare d’altro. Se non si ha abbastanza confidenza con le proprie ombre, la seconda soluzione è preferibile.
Rendete la vostra storia universale
Senza questo passaggio fondamentale, la trama che narrate nel vostro libro sarà solo l’esposizione cronachistica di una vicenda personale, che potrebbe anche non suscitare alcun interesse nel lettore. Invece, proprio come accade con i romanzi, la vostra storia deve poter diventare la storia di tutti e parlare con il cuore, con sincerità e con la massima trasparenza, all’anima del lettore. Prendiamo di nuovo l’esempio di Malala: la sua è la storia di una persona sola, ma rappresenta la storia di tutte le donne discriminate. Allo stesso modo, “Una chiacchierata con papà” di Tiziano Ferro, che mi fu regalato anni fa proprio da mio padre, racconta delle difficoltà comunicative tra un padre e un figlio. E chi non ne ha avute? Allo stesso modo, le biografie degli sportivi raccontano di lotte e di fallimenti. Quelli degli artisti di quanto sia importante coltivare i proprio sogni. E quella di Rocco Siffredi…beh, traete voi le dovute conclusioni?